Sposata con uno dei fotografi ufficiali di Saddam Hussein, Rafida è scappata dal suo Paese dopo la caduta del dittatore e ha peregrinato per sette anni in giro per l’Europa. «In un centro d’accoglienza in Norvegia un operatore mi ha violentata», racconta. In Sicilia ha ritrovato il coraggio, grazie a un tirocinio nel paese siracusano.

«Quando è arrivata qui non sorrideva. Adesso, invece, sì». A parlare è Imen,una mediatrice culturale che lavora nel centro di accoglienza dove vive Rafida. Quarantasei anni, irachena dai capelli lunghi neri nascosti sotto il velo, fede musulmana e lingua araba, Rafida è arrivata in Sicilia nell’autunno del 2014dopo oltre sette anni di migrazioni clandestine durante i quali ha dovuto subire violenze e sofferenze. «La Sicilia mi piace tanto», è una delle poche frasi che Rafida ci dice in italiano mentre, portandosi l’indice sulla guancia, fa il gesto che fanno i bambini quando mangiano una cosa buona.

Dall’Iraq è partita nell’estate del 2007. Prima di allora, nel suo Paese, faceva la fotografa ed era sposata con uno dei fotografi ufficiali di Saddam Hussein. Un punto di vista privilegiato sul suo Paese che la porta a raccontare in arabo:«Nel periodo di Saddam, fino al 2003, si stava bene in Iraq. Dopo la sua caduta è cambiato tutto: hanno iniziato a uccidere le persone e anche mio padre e mio marito sono stati uccisi». È allora che inizia l’odissea di Rafida, con viaggi fatti in aereo con passaporti falsi.

«Sono scappata dall’Iraq in maniera illegale e sono arrivata prima in Siria e poi, dopo due mesi, in Turchia dove sono rimasta fino al dicembre del 2007. Dalla Turchia sono andata in Grecia e lì ho passato due mesi in prigione perché – spiega Rafida –, secondo la legge greca, tutti i rifugiati devono essere imprigionati per quel periodo di tempo. Dopo altri tre mesi, sono andata in Svezia».

Questo viaggio dalla Grecia alla Svezia, Rafida lo ricorda con imbarazzo perché lo ha fatto con un passaporto falso, «rubando l’identità di una ragazza egiziana di fede cristiana e fingendo di essere la moglie di un signore che viaggiava insieme a me». In Svezia rimane circa sette mesi, durante i quali viene spinta dalla polizia, anche forzatamente, a collaborare. Sotto la minaccia di dover ritornare in Grecia dove era stata identificata, un giorno decide di collaborare ma la notte stessa sale su un autobus e scappa in Norvegia.

(di Marta Silvestre, pubblicato 3 Maggio 2016 su Meridionews.it)

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